Quando una vena si restringe o si ostruisce, il ritorno del sangue dagli organi periferici al cuore è ostacolato. Il restringimento viene chiamato stenosi.

La ostruzione il più delle volte è dovuta alla formazione di un coagulo all’interno della vena stessa (trombo), oppure la vena è schiacciata dall’esterno da linfonodi o altri vasi vicini.
In tutti questi casi, il paziente accusa dolore e gonfiore dell’arto interessato, come pure la presenza di vene varicose. Nel caso che un coagulo venoso si stacchi dalla sua sede di formazione e si muova in circolo, esso viene chiamato embolo.
In alcuni casi il coagulo può essere trasportato lungo il sistema venoso e sospinto fino a uno dei vasi che portano sangue ai polmoni: in questo caso si ha un’embolia polmonare.
Gli emboli polmonari sono pericolosi e talvolta fatali, nel caso che essi ostruiscano totalmente il vaso e, quindi, blocchino totalmente la circolazione del sangue in quella parte di polmone.
I pazienti affetti da embolia polmonare presentano difficoltà respiratoria, dolore toracico e spesso un escreato ematico.
In cosa consiste e perché viene richiesto l’esame di venografia?
Al fine di un’accurata diagnosi il medico deve poter distinguere se il paziente soffra di un restringimento o di un’ostruzione venosa. A tal fine egli può richiedere un esame detto venografia.
Questo esame viene eseguito iniettando un mezzo di contrasto in una vena del braccio o della gamba e controllando il suo avanzamento con i raggi X.
La venografia viene richiesta quando compaiono dolore e rigonfiamento di un’estremità per cause sconosciute. Inoltre, essa viene eseguita prima degli interventi chirurgici sulle vene varicose.
Preparazione necessaria per l’esame di venografia
La venografia può essere eseguita su pazienti ricoverati in ospedale o su pazienti ambulatoriali. Il paziente deve essere digiuno da sei ore. Il medico deve essere informato circa qualsiasi manifestazione allergica o di ipersensibilità verso sostanze contenenti iodio o verso altri farmaci.
Come viene eseguito l’esame di venografia?
Il paziente viene posto su una tavola radiologica al di sotto dell’apparecchiatura radiografica che è appesa al soffitto. La tavola radiologica è dura e scomoda.
Il medico cerca, quindi, una vena del dorso del piede o della caviglia nel caso che egli sospetti una malattia delle vene dell’arto inferiore, del bacino o dell’addome o nel caso voglia evidenziare un coagulo nel circolo polmonare.
Se l’alterazione è a carico delle vene del torace o dell’arto superiore, si utilizza una vena del dorso della mano o dell’avambraccio. Un laccio viene stretto attorno all’arto prescelto per rendere più visibili le vene e la cute viene accuratamente disinfettata e coperta con un telo sterile con un foro nel centro.
Può essere iniettata una soluzione di anestetico locale nel sottocutaneo intorno alla vena, ma questo non è sempre necessario. Ciò si rende necessario se la vena non è facilmente incanulabile e il medico è costretto a fare una piccola incisione della cute per esteriorizzarla.
La vena viene, quindi, punta con un ago attraverso il quale viene introdotto un piccolo catetere. L’ago viene quindi tolto. L’iniezione del mezzo di contrasto può provocare una sensazione di caldo, che però non è dolorosa e scompare in breve tempo.
Il paziente non deve allarmarsi per i rumori prodotti dall’apparecchiatura radiologica mentre registra il flusso del mezzo di contrasto attraverso le vene. Si tratta di un rumore molto fastidioso. E importantissimo che il paziente stia ben fermo, perché ogni movimento rende confuse e illeggibili le radiografie.
Per ottenere delle radiografie accurate il medico inietta il mezzo di contrasto più volte, controllandone l’avanzamento su uno schermo. Una volta che il medico ritenga di aver acquisito le informazioni necessarie, il catetere viene tolto e la sede di inserzione viene mantenuta compressa per alcuni minuti, dopodichè viene applicata una leggera medicazione.
Nel caso sia stata praticata una piccola incisione cutanea, viene suturata con qualche punto. Dopo 15-30 minuti di osservazione il paziente viene dimesso o, se ricoverato, trasferito nella sua stanza.
Dove e da chi viene eseguito l’esame di venografia?
La venografia viene eseguita in un’apposita stanza dell’ospedale, solitamente nel reparto radiologico. L’esame viene eseguito da un medico in condizioni di sterilità.
Quanto tempo dura l’esame di venografia?
L’esame dura solitamente circa 30 minuti, ma può richiedere più tempo se il medico incontra difficoltà nell’incanulare la vena o se si debba iniettare più volte il mezzo di contrasto.
Come ci si sente dopo l’esame di venografia?
L’inserimento dell’ago provoca un leggero dolore e l’iniezione del mezzo di contrasto provoca sensazione di caldo e formicolio in tutto il corpo, che però rapidamente scompaiono.
Alcuni pazienti lamentano debolezza, nausea e sudorazione profusa. Questi sintomi vengono alleviati con farmaci appositi.
Una macchia nero-bluastra (ematoma) e un leggero dolore nel punto di iniezione sono gli unici segni esterni dell’avvenuto esame e scompaiono in pochi giorni.
Rischi connessi all’esame di venografia
I rischi della venografia sono minimi, ma è bene che il paziente ne discuta col proprio medico.
Circa nel 2 per cento dei soggetti sottoposti a venografia compaiono reazioni al mezzo di contrasto, consistenti in febbre, brividi, respiro affannoso, gonfiore, prurito e eruzioni cutanee.
Si tratta di reazioni di solito ben controllabili e solo raramente sono cosi gravi da non poter essere curate. In rarissimi casi nei pazienti diabetici possono comparire alterazioni della funzionalità renale (rene e vie urinarie) dovute al mezzo di contrasto che viene escreto per questa via.
tratto dal libro “Gli Esami Clinici” di Mario Laffey Fox e Truman G. Schnabel – Ed. Euroclub