Per annessi oculari si intendono fondamentalmente le palpebre, la congiuntiva e l’apparato lacrimale.
Numerose sono le affezioni che possono interessare tali strutture; in questo capitolo intendiamo dare un breve cenno delle forme più comuni e facilmente riconoscibili anche dagli stessi pazienti.
Orzaiolo, calazio, blefariti, congiuntiviti sono temi di oculistica spicciola, costituiscono cioè malattie che generalmente non destano gravi timori, per la mancanza per lo più di una sintomatologia che ingeneri serie preoccupazioni, data l’assenza di dolore, di temperatura febbrile, ovvero di grave deficit funzionale.
Queste affezioni meritano in realtà più seria considerazione perché spesso non costituiscono un episodio morboso transitorio, bensì possono rappresentare la prima espressione di una malattia generale latente, che può – se trascurata – evolvere e svilupparsi successivamente i n forma cronica.
Così l’orzaiolo, piccolo ascesso di una ghiandola sebacea delle palpebre, e le blefariti cigliari – infiammazioni del margine palpebrale a livello dell’impianto delle ciglia – sono affezioni spesso resistenti alla terapia locale (impacchi caldo-umidi, colliri ed unguenti oftalmici antisettici, astringenti, antibiotici, antinfiammatori), perché sono espressione di una malattia generale dell’organismo: per esempio di alterazioni del ricambio, di turbe digestive gastro-intestinali od epatiche, di allergia da alimenti o da farmaci, di disendocrinie, ecc. Pertanto, al cospetto di queste affezioni apparentemente banali ed innocue, è opportuna un’indagine ampia e minuziosa, anche al di fuori della nostra specialità.
Il calazio è un ispessimento nodulare nel contesto delle palpebre, dovuto ad un’infiammazione cronica di ghiandole locali; a volte può comparire dopo un orzaiolo, a volte senza precedenti; può essere di dimensioni varie, unico o multiplo. Solamente di rado regredisce spontaneamente.
Anch’esso esprime una particolare reattività dell’organismo colpito: per questo, anche se asportato, può riformarsi nella medesima od in altra sede, e scarso successo ha in generale la terapia medica la quale, tutt’al più, ha qualche probabilità di successo nell’evitare il ripetersi di questi tumoretti antiestetici.
L’asportazione chirurgica, che merita senz’altro maggior fiducia delle terapie mediche, avrà miglior esito quanto minori sono le dimensioni del calazio e quante meno riaccensioni infiammatorie ha avuto esso in precedenza.
Le congiuntiviti sono processi infiammatori della congiuntiva, quella membrana trasparente che riveste il bulbo oculare, attraverso la quale traspare il bianco della sclera, e che poi si ribatte a rivestire dall’interno le palpebre.
Secondo il loro decorso le congiuntiviti possono essere acute, subacute o croniche, con sintomi più accentuati ma meno duraturi nelle prime, più leggieri ma insistenti nelle ultime. L’occhio con congiuntivite presenta la membrana dì rivestimento fortemente arrossata, congesta; a volte gonfiore delle palpebre, lacrimazione, fotofobia, senso di bruciore più o meno accentuato, sensazione di « bruscoli nell’occhio » , spesso secrezione sierosa o purulenta.
Agenti delle congiuntiviti possono essere i germi più disparati, ma anche fattori chimici o fisici. La terapia è varia, data la varietà degli agenti determinanti che lo specialista stesso non può sempre individuare, ma spesso soltanto presumere. È perciò quanto mai sconsigliabile la cura che i pazienti spesso e volentieri intraprendono da sé stessi con « un collirio qualsiasi » ( che successivamente non sanno nemmeno riferire all’oculista che li prende in cura).
Lo pterigio, noto ai profani col nome molto esplicativo di « carne cresciuta » , è una piega della congiuntiva, fornita d i vasi sanguigni, che interessa la congiuntiva bulbare per lo più dal lato nasale dell’occhio, e si spinge verso la cornea tendendo ad invaderla.
Può restare stazionario, od aumentare progressivamente. In genere non dà altri disturbi che bruciore modico e saltuario o prurito, quando si limita ad interessare la congiuntiva; in questi casi, quando si può riconoscere la stazionarietà del processo, può essere sufficiente – almeno per un certo tempo – la instillazione di colliri astringenti, antisettici, chemioterapici, per evitare l’infiammazione periodica.
Quando però lo pterigio mostra la tendenza ad invadere la cornea, (membrana trasparente dell’occhio che ricopre iride e pupilla), può dare disturbi maggiori (anche riduzione visiva); in tali casi il trattamento deve essere esclusivamente chirurgico, con prognosi ovviamente migliore quanto meno lo pterigio è sviluppato.
L’apparato lacrimale è formato dalle ghiandole lacrimali (di cui le maggiori sono situate nella porzione superoesterna dell’orbita) e dalle vie lacrimali, che iniziano con i puntini lacrimali, ben riconoscibili verso l’angolo interno del margine palpebrale superiore ed inferiore e che sboccano dopo un breve decorso nei sacchi lacrimali, uno per lato, situati in profondità nella regione tra angolo interno dell’occhio e radice del naso.
Le affezioni più comuni di questo apparato consistono in alterazioni della secrezione lacrimale, che può essere maggiore o minore del normale e – più spesso – in disturbi del regolare deflusso delle lacrime per infiammazione o stenosi ( cioè strettezza ), o per vera e propria occlusione dei puntini o delle vie lacrimali.
Molto frequenti e note anche ai profani sono le dacriocistiti, cioè i processi infiammatori del sacco lacrimale.
In genere sono affezioni croniche, ma talvolta vi si sovrappone un processo acuto con grave sintomatologia locale e generale. Dopo un’intensa terapia medica, volta ad eliminare la maggior acuzie del processo, è necessario l’intervento chirurgico di asportazione del sacco, infiammato ormai in modo irreversibile; purtroppo è un intervento necessario per eliminare un focolaio d’infezione, ma che non può impedire la successiva lacrimazione pressoché continua, dovuta al fatto che l’intervento viene a togliere il serbatoio naturale delle lacrime.
La lacrimazione, peraltro, tende ad attenuarsi col tempo.
Oggigiorno si va diffondendo sempre più la terapia conservativa del sacco lacrimale con l’intervento detto “dacriocistorinostomia”, col quale si cerca di creare tra il sacco delle lacrime e la cavità nasale vicina un’ampia apertura, in modo che in caso di infiammazione le lacrime defluiscano nel naso senza la difficoltà presentata dal sottile condotto lacrimo-nasale, datoci da madre-natura.
Quest’intervento è più delicato ed indaginoso dell’asportazione del sacco; si può fare solo dopo che l’infiammazione si è attenuata con impacchi ed altre cure mediche e, quando ha successo (ed oggi i successi sono sempre più numerosi ), cioè non si richiude la finestra operata tra sacco e cavità nasale, permette di evitare la lacrimazione lungo le gote, che si ha invece per l’abolizione della via di deflusso operata con l’altro intervento demolitivo (utile questo solo per evitare che l’infezione si propaghi al bulbo oculare od allo stesso organismo ).
Tratto dal libro “Igiene e Malattie degli Occhi” R.J Schillinger e P.Lodi Menestrina – ed.ADV Firenze