Il kendo (letteralmente “Via, do, della spada, ken”), la tradizionale scherma dei samurai, si pratica imbracciando lo shiniai, un bastone formato da quattro canne di bambù, che ha il compito di sostituire la vera e propria spada, la katana.
Per questo motivo durante il combattimento i colpi prevedono di essere assestati come se il bastone fosse veramente affilato e appuntito.
Durante gli scontri di allenamento, il corpo dei praticanti viene protetto con il bogu, un’armatura formata da maschera, corpetto, guanti e paraventre.
Il kendo, come il sumo, sono le uniche arti marziali nate e sviluppatesi in Giappone.
Anche l’arma usata, la katana, è inconfondibilmente giapponese e il suo impiego in Giappone è testimoniato da numerose fonti storiche Il kendo, a differenza del karate, che conta molti appassionati all’estero ma è poco diffuso in patria, in Giappone è diffusissimo e il suo insegnamento è previsto nelle scuole fin dalle elementari.
Come tutte le arti marziali, il bendo riveste oggi una doppia veste di sport e di strada meditativo-religiosa. Anche sotto il primo aspetto, questa disciplina è lontana dalle moderne attività sportive. In essa, la sere di vittoria e l’agonismo sfrenato sono messe in disparte in favore del senso dell’onore, dell’educazione e della lealtà dell’individuo anche nei confronti dell’avversario.
Il kendo era l’arte marziale preferita dalla nobiltà guerriera giapponese pertanto, anche se praticato come semplice sport mantiene e vuole tramandare i valori tipici che, anche in passato, l’hanno caratterizzato: la benevolenza. la giustizia, l’etichetta. la correttezza. la saggezza e la sincerità.
Anche per il kendo sale quanto detto per il karate-do: la “via” supera la tecnica. Essere tecnicamente tino schermidore eccellente, senza però seguire i principi etici fondamentali dell’arte, rende ciò che si è fatto, comunque, un fallimento.
Tratto dal libro “Zen” – Key Book