26 Marzo 2023

I Klesha

I klesha sono proprio il catalizzatore di tutto questo processo karmico e sono ciò che per prima bisogna cercare di distruggere  se si vogliono fermare le citta vrtti.
Patanjali descrive 5 tipi di klesha :
Avidya, Asmita, Raga, Dvesa, Abhinivesa. 
Avidya è la radice di tutti gli altri klesha definito ignoranza nel senso di nescenza, inconsapevolezza che porta a sbagliare, che porta a vedere qualcosa erratamente: “vedere l’eternità in ciò che è caduco” porta a un errore fondamentale di prospettiva nel rapportarci con le cose. “ Vedere la purezza in ciò che puro non è o vedere la felicità in ciò che è dolore”. Esiste un meccanismo di autoinganno sottile per cui tutto ciò che desideriamo avere in realtà ci illudiamo che quando l’avremo ottenuto saremo felici, ma poi ci accorgiamo che desideriamo qualcos’altro…passando tutta la vita a cercare…
Vedere il Sé in ciò che non è il Sé” e questo ha a che fare con l’identificazione, pensare che certe cose siano me, il vero me stesso. Nel significato tecnico vedere il Sé nel non sé significa confondere il purusa con la prakrti cioè non capire che i contenuti che occupano la mia coscienza non sono la mia coscienza e che il mio vero Sé, non è ciò che passa davanti allo specchio della coscienza ma che io sono la coscienza che lo riflette.
Asmita è il senso dell’io, é  “l’identificazione del purusa con il città”, è la falsa identificazione del purusa con il citta: identifico la coscienza con le attività mentali e in questo sono soggetto alle vicissitudini che queste attività subiscono.
Raga é attrazione, si fonda sulla memoria del piacere; sono attratto da qualcosa perché ricordo che in passato mi ha dato piacere, e ho un’aspettativa del piacere che si basa sul ricordo.
Dvesa è il contrario, ostilità, avversione, repulsione e si basa sul dolore, dvesa si fonda sul ricordo del dolore: tutto ciò che mi ricorda anche lontanamente quel dolore deve essere evitato. E questo porta a un grande restringimento della capacità di vivere e di godere perché ovviamente non sempre le esperienze sono dolorose.
Quindi il problema dei meccanismi di difesa é che sono totalmente rigidi e ripetitivi che basandosi su una memoria del passato evitano il verificarsi del presente, da un certo punto in poi smetteremo di esperire per paura di soffrire.
Abhinivesa viene definita attaccamento alla vita, non è soltanto l’attrazione di cui parlavamo per il piacere, è l’istinto di sopravvivenza, questo attaccamento, secondo questi sistemi, è anche quella forza particolare che porta a reincarnarmi anziché a liberarmi. Quindi è una forza molto potente contro la liberazione.
I klesha possono essere in due modi: quando si presentano in forma diventano citta vrtti, o possono essere in una forma latente cioè inconscia, dormiente.
Ci rendiamo conto che per lo yoga la conoscenza soltanto intellettuale non basta per sradicare le radici dell’insanità dei klesha, perché essi non si manifestano soltanto in forma visibile ma hanno una loro radice inconscia, molto potente e quindi una conoscenza solamente intellettuale non può bastare a sconfiggerli.
E’ necessario toccare con mano l’esperienza del mio Sé che diventa autoevidente nel momento in cui la mente si ferma, ci vuole questa esperienza di meditazione, di silenzio interiore per poter percepire veramente il mio Sé, per poter conoscere il mio Sé; per fare questo ci vuole uno stato mentale particolare che è quello del samadhi. Di qui è importante la pratica, l’allenamento continuo.
La psicologia yoga é molto sofisticata e prende in esame molti aspetti del mentale, ma ciò che veramente la differenzia da altre scienze che indagano la mente, a parte il sistema d’indagine, é lo sguardo puntato sulla coscienza come qualcosa di transpersonale, di mistico, di puro e incontaminato, potrei dire che questo tendere alla coscienza rappresenta la vera e forte motivazione di tanto, costante, cavilloso lavoro di ricerca.
“Dall’“altro lato” del complesso mentale si trova il “più interno” o “più alto” campo della coscienza umana. Esso è stato chiamato dalle diverse scuole con i più svariati nomi: il Sé, il Purusha, Brahman, Atman, o Jiva. Questa è la chiave della psicologia yoga, perché è proprio intorno alla conquista di questo livello di coscienza che tutta la disciplina dello yoga è organizzata. Esso è ritenuto il più alto stato di coscienza e, al tempo stesso, il più profondo Centro della psiche.” 36 
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36 Rama, Ballantine R., Ajaya, op. cit.

Sezione a cura di Lucia Giovenali

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